Il prezzo del gas si riavvicina pericolosamente ai 50 euro al megawattora al Ttf di Amsterdam, quello del Brent supera gli 81 dollari al barile. Sembra non ci sia pace in questo lunedì di metà gennaio per le principali fonti fossili, sotto stress per ragioni geopolitiche ma anche al centro di chiare azioni speculative. Il rimbalzo più rumoroso è quello del gas.
I future, che già in apertura erano votati al rialzo, nel corso della giornata hanno toccato sempre nuovi picchi, fino ad arrivare quasi a un impressionante + 8% in fase di chiusura, chiudendo poi a 48,450 euro al megawattora, a +7,65%. Il super-prezzo, ai massimi da più di un anno, è determinato sicuramente dalla questione geopolitica della chiusura del gasdotto che trasporta(va) il gas in Europa attraverso l’Ucraina, ma anche da azioni speculative e dal freddo. Un’ondata di gelo si sta infatti abbattendo sull’Europa e l’abbassamento delle temperature determina un aumento di richiesta di gas.
Oggi, però, a complicare la situazione e a determinare l’impennata del prezzo è stato l’attacco al gasdotto Turkstream, nella stazione di compressione Russkaya, nella regione russa del Krasnodar, da parte delle forze ucraine. “Il gasdotto TurkStream è necessario per le forniture di gas naturale all’Ungheria e all’Europa centrale. Per molti anni è stato un percorso di trasporto affidabile, in cui le compagnie di trasporto e i Paesi di transito hanno rispettato i loro obblighi contrattuali e agito in modo affidabile. Ci aspettiamo che tutti rispettino la sicurezza e la funzionalità di questa via di trasporto. La sicurezza delle forniture energetiche è una questione di sovranità, quindi qualsiasi azione che minacci la sicurezza delle nostre forniture energetiche deve essere vista come una violazione della sovranità”, ha scritto su Facebook il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto. Insomma, una fotografia (a tinte fosche) della realtà e un secco, secchissimo monito mentre la tensione dilagava sui mercati, con la conseguenza di determinare aumenti fuori controllo. L’Ungheria, come la Slovacchia e la Serbia, non avendo affacci sul mare dipendono dal Turkstream e senza quell’allaccio sono/saranno costrette a pagare il gas più caro.
La situazione, già delicata, è divenuta quindi complicatissima: la Russia sta alla finestra mentre la Commissione europea è allarmata per gli sviluppi del quadro globale. Una preoccupazione, peraltro, già espressa la settimana scorsa dalla Bce che aveva messo tutti in allarme per le ricadute di questi bruschi aumenti su aziende e famiglie. Per gli analisti anche nelle prossime settimane si assisterà a una volatilità del gas, con un ulteriore aumento dei prezzi, anche se gli stoccaggi sono sufficientemente pieni e non ci sono margini di rischio per l’inverno. I problemi, nel caso i future non dovessero scendere (a ottobre/novembre la quotazione era tra 32 e 39 euro al MWh), si avranno ad aprile quando comincerà la fase di riempimento delle scorte. Sul fronte del petrolio, i future hanno registrato un rialzo nelle contrattazioni di metà mattina in Asia, superando la soglia degli 80 dollari al barile, a causa delle ulteriori sanzioni Usa sul settore energetico russo, aggravate dalla probabilità di altre sanzioni all’Iran sotto la nuova amministrazione Trump. La scia rialzista si è trascinata poi verso l’Europa con il Brent che ha superato il tetto degli 81 dollari. S&P Global Commodity Insights sostiene che “una serie di nuove sanzioni statunitensi sulle esportazioni di greggio e prodotti raffinati russi, emanate il 10 gennaio, sono rialziste per il greggio e i prodotti raffinati a livello globale, ma la storia ha dimostrato che i barili russi generalmente trovano mercato nonostante le sanzioni”. Come si diceva, c’è anche l’eventualità che il presidente eletto Donald Trump imponga nuove sanzioni all’Iran, una scelta che limiterebbe ulteriormente l’offerta globale di petrolio e che andrebbe a impattare sul prezzo.