Ultima possibilità prima del fallimento: la 16esima conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità (Cop16) riprende oggi a Roma con l’obiettivo di sciogliere il nodo Nord-Sud sui finanziamenti che dovrebbero contribuire a fermare la distruzione della natura entro il 2030. In un contesto geopolitico difficile, i 196 Paesi firmatari della Convenzione sulla diversità biologica (CDB) sono invitati a tre giorni di negoziati presso la sede dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), quasi quattro mesi dopo la brusca sospensione dei lavori in Colombia. Il 2 novembre a Cali, infatti, la Cop16 sulla biodiversità era stata rinviata a causa di un acceso dibattito tra i Paesi ricchi e il resto del mondo – Brasile e Africa in testa – sulla cooperazione finanziaria Nord-Sud.
La più grande delle Cop sulla biodiversità, con un’affluenza record di 23.000 partecipanti ai margini della lussureggiante giungla colombiana, aveva una missione centrale: stimolare l’applicazione, ancora timida, dell’accordo di Kunming-Montréal. Siglato alla fine del 2022, l’accordo stabilisce un programma per proteggere il pianeta e i suoi esseri viventi dalla deforestazione, dallo sfruttamento eccessivo delle risorse, dal cambiamento climatico e dall’inquinamento. Prevede di collocare il 30% delle terre e dei mari in aree protette, tra i 23 obiettivi da raggiungere entro il 2030.
L’accordo fissa un obiettivo globale di 200 miliardi di dollari di spesa annuale per la natura, di cui 30 proverrebbero dai Paesi sviluppati entro il 2030 (rispetto ai circa 15 del 2022, secondo l’Ocse). Ma come mobilitare il denaro? Da Cali, né i Paesi ricchi – guidati dall’Unione Europea, dal Giappone e dal Canada in assenza degli Stati Uniti, non firmatari della CBD – né quelli in via di sviluppo hanno fatto concessioni. Eppure, per il Wwf Italia “è indispensabile superare le divergenze esistenti affinché alla Cop16 di Roma vengano adottate decisioni volte a colmare l’enorme gap finanziario per la biodiversità”. Secondo l’organizzazione, oltre la metà del Pil globale, il 55% pari a 58.000 miliardi di dollari, dipende in misura moderata o elevata dalla natura e dai suoi servizi. Allo stesso tempo, il 7% del prodotto interno lordo mondiale distrugge le basi della nostra sopravvivenza sul pianeta.
Secondo il Wwf Francia ,“i segnali internazionali non sono buoni”: ritorno di Donald Trump, negoziati impantanati su un trattato contro l’inquinamento da plastica e accordo minimo sul finanziamento climatico dei Paesi ricchi alla Cop29 di Baku a novembre. “Alcuni Paesi, come l’Arabia Saudita sui combustibili fossili, stanno seguendo una logica di sabotaggio sistematico delle ambizioni climatiche e ambientali”, spiega l’organizzazione.
A Roma, i Paesi – 154 hanno confermato la loro partecipazione – ripartiranno da un progetto di compromesso colombiano che propone un “processo” di negoziazione per creare, entro la Cop17 del 2026 in Armenia, un nuovo “strumento finanziario” di aiuto allo sviluppo, posto sotto l’autorità dell’Onu, con più voce in capitolo per i Paesi poveri. Ma le nazioni sviluppate, molti delle quali in crisi di bilancio, vedono in questo un ennesimo “fondo” internazionale e preferirebbero rafforzare i fondi esistenti e oggi modestamente dotati.
Sul fronte dei successi, la Cop16 ha già adottato a Cali diverse decisioni, tra cui la creazione di un organo permanente per rappresentare le popolazioni indigene alla CBD. E’ stata anche approvata la creazione di un altro fondo, che dovrebbe essere alimentato dalle aziende che traggono profitto dal genoma digitalizzato di animali o piante (ad esempio la vaniglia) dei Paesi in via di sviluppo. L’efficacia di questo ‘Fondo Cali’, richiesto per saldare il debito del Nord accusato di saccheggiare le ricchezze, rimane tuttavia incerta.