MANTOVA – Se il 2023 sarà un anno di transizione per la suinicoltura, prima di un nuovo corso come dice il direttore della cooperativa Opas, Valerio Pozzi, “dove ad essere valorizzate dovranno essere non solo le cosce per i prosciutti Dop come Parma e San Daniele, ma anche la carne fresca”, dipenderà dalla capacità di tutti i soggetti coinvolti nella filiera di individuare un progetto e arrivare al consumatore. Il tema del futuro della suinicoltura è stato affrontato ieri pomeriggio a Corte Peron (Marmirolo) nel corso di un convegno organizzato da Coldiretti Mantova e dall’allevatore Claudio Veronesi, al quale ha preso parte anche il presidente nazionale Ettore Prandini, che ha battezzato la suinicoltura come “uno dei pilastri dell’agricoltura italiana”, in particolare in una regione come la Lombardia, che produce il 49% di tutti i capi a livello nazionale.
Quello che è certo è che per gli allevatori di maiali il 2023 potrebbe spalancare la porta agli aiuti della Politica agricola comune, attraverso le risorse messe a disposizione dall’Eco-schema 1 (dedicato alla zootecnia, al benessere animale, con particolare riferimento al contrasto all’antimicrobico resistenza) e che per Loris Alborali, dirigente dell’Istituto Zooprofilattico della Lombardia ed Emilia-Romagna, “dovrebbero essere intercettati dal settore senza particolari difficoltà, ma solo con l’impegno a migliorare alcune fasi dell’allevamento per ridurre l’utilizzo di farmaci”.
Senza la zootecnia, ha ribadito il presidente Prandini, “l’Italia non ha futuro, perché è attraverso la valorizzazione delle nostre produzioni Made in Italy che l’agroalimentare può competere sul mercato, non certo concentrandosi sulle commodity, per le quali usciremmo rapidamente dal mercato”. Ed è la zootecnia di qualità, come quella italiana, che ha il compito di “contribuire ad affermare un modello alimentare che è innanzitutto di natura culturale, contro il rischio della diffusione delle carni sintetiche, prodotte in laboratorio e dietro le quali si celano interessi nascosti”.
È necessario, per il rilancio della suinicoltura, realtà alle prese come altri comparti con i forti rincari (circa il +35-40%) dei costi di produzione, poter mettere a frutto una visione condivisa in grado di migliorare le esportazioni e rafforzare le produzioni interne.
Per fare questo, secondo il presidente di Coldiretti Mantova, Paolo Carra, “è necessario che allevatori, istituzioni, pubblica amministrazione, veterinari, collaborino insieme per non perdere le opportunità offerte dalla Pac. Servono risposte veloci, al passo con la rapidità decisionale delle imprese agricole”.
Lo scenario, in termini numerici, è stato inquadrato da Thomas Ronconi, presidente dell’Associazione nazionale allevatori di suini (Anas). “Nel 2023 la produzione europea di maiali è prevista in calo dello 0,7%, con una contrazione dell’export del 3%”, ha osservato Ronconi. “A livello nazionale i suini allevati sono stimati in flessione del 2,7% rispetto all’annata precedente, con una riduzione delle scrofe per il circuito Dop in calo di 20mila unità, un trend che si aggiunge a una perdita di animali per la salumeria Dop di 458.000 unità nei primi 11 mesi del 2022, che significa una diminuzione del 4,8% su base tendenziale”.
La suinicoltura è alle prese anche con un altro problema: la peste suina africana, per ora circoscritta in aree determinate del Paese, che – ha specificato Valerio Pozzi di Opas – “non rappresentano un ostacolo all’export, purché si faccia capire all’estero, in Paesi ad alta potenzialità come Cina e Giappone, che con la regionalizzazione è possibile garantire standard di sicurezza certificati per le nostre produzioni”.
Per superare il problema, ha affermato il veterinario Antonio Caleffi, è necessario “alzare barriere di biosicurezza, ben sapendo che tale difesa non può mai essere assoluta. È importante, però, che sia tecnicamente fattibile ed economicamente sostenibile”.