ROMA – Il mare è sotto stress. Inquinamento e over-fishing distruggono gli equilibri e la percentuale di aree protette è lontana, lontanissima, da quella prefissata al 2030, che prevede un’estensione del 30% rispetto a quelle attuali. “Dobbiamo fare qualcosa. Chiedo urgentemente i decreti attuativi della legge Salvamare, che è diventata legge quattro anni fa”, è il richiamo di Rosalba Giugni, presidente Marevivo.
Si appella al governo, con il ministro Gilberto Pichetto Fratin che alza l’asticella e annuncia una commissione per la riforma completa del Codice dell’Ambiente e “delle leggi conseguenti”. Perché il quadro “è cambiato”, fa presente, anche alla luce del nuovo dettato costituzionale: “Il Parlamento si è reso conto della necessità di inserire in Costituzione la tutela dell’ambiente – spiega -, è un’innovazione importante che permette di intervenire sulla salvaguardia degli ecosistemi, della tutela del Paese. La sensibilità è nuova e diversa, le cose cambiano, dobbiamo riscrivere tutto un percorso, una riforma che si affiancherà alla semplificazione”. Condivide e sostiene la proposta del ministro la sua vice, Vannia Gava: “Una necessità che, personalmente, avanzo da lungo tempo alla luce delle evoluzioni, anche costituzionali, sopraggiunte su un tema di così cruciale rilevanza per il Paese”.
Sulla tutela delle aree marine e terrestri, va sensibilizzata anche l’opinione pubblica, perché l’obiettivo comunitario è anche un’importante opportunità di carattere economico e di funzionalità rispetto al contrasto al cambiamento climatico.
Nonostante sia un provvedimento chiave dell’Europa e uno dei target fondamentali su cui i governi dovranno lavorare per raggiungere l’obiettivo del 30% di territorio protetto entro il 2030, la Strategia per la Biodiversità continua a essere un oggetto misterioso per l’opinione pubblica. In un recentissimo sondaggio realizzato da Emg per il centro Studi del Wwf Italia, il 90% dei cittadini non è a conoscenza del fatto che l’Unione Europea abbia varato una strategia per arrivare entro il 2030 al 30% di territorio e mare protetti di tutta Europa. L’86% dice di non essere a conoscenza della riforma costituzionale del 2022, che ha modificato gli articoli 9 e 41 della Costituzione, inserendo la tutela della biodiversità e degli ecosistemi all’interno dei suoi principi generali.
“L’obiettivo Ue 2030 è possibile ma molto difficile se non si aumenta la consapevolezza dell’importanza della conservazione della natura e se non si rendono più efficienti ed efficaci le attuali aree protette, sia terrestri che marine, istituendo anche quelle già previste per legge”, sottolinea il presidente del Wwf Italia, Luciano Di Tizio, che mette in guardia sui tempi: “Il 2030, scadenza prevista dall’unione Europea è tra sette anni, di questo passo non riusciremo a centrare un obiettivo indispensabile a proteggere la nostra natura, il nostro mare e il nostro benessere. Serve un impegno straordinario, che i cittadini chiedono e che deve vedere protagoniste – sin da subito – le istituzioni”.
Wwf e Marevivo denunciano come l’attuale sistema veda le Aree Marine Protette relegate a una sorta di Serie B con strumenti e ruolo diversi rispetto a quelli garantiti alle aree protette terrestri. “Le aree marine protette in Italia sono 29, più 2 parchi sommersi, ma in pochi conoscono la loro importanza”, fa eco Giugni. “Considerando che il mare protetto a oggi ricopre solo il 13,4% e che di queste solo lo 0,01% risulta con livello di protezione integrale e che i fondi stanziati per le Amp sono pari a 7.000.000 di euro annui, corrispondenti a un decimo di quelli garantiti ai parchi terrestri, Marevivo chiede interventi concreti per migliorare la gestione e la tutela del nostro immenso patrimonio marino”.
Le associazioni, quindi, hanno presentato una serie di punti ritenuti essenziali per rafforzare la tutela del mare: l’adozione di criteri di valutazione che permettano di misurare l’efficacia di gestione di ogni singola area marina protetta, l’insufficienza degli stanziamenti e del personale a queste preposto, il rafforzamento della sorveglianza, l’estensione delle superfici protette attraverso riperimetrazioni, nuove istituzioni anche off shore, l’annessione ai parchi costieri di aree a mare. Il sistema Aree Marine Protette ha evidenziato, secondo le associazioni, evidenti limiti di gestione ed è per questo che viene richiesto coraggio per immaginare anche nuove forme di governance sia come coordinamento ed omogeneità dei criteri di gestione sia come istituzione di veri e propri Parchi Marini per le realtà più estese.