ROMA – Lo squalo della Groenlandia (Somniosus microcephalus), un elusivo abitante delle profondità dell’Atlantico settentrionale e dell’Oceano Artico, è il vertebrato più longevo al mondo, con una durata di vita stimata di circa 400 anni: un team internazionale di studiosi ne ha mappato per la prima volta il genoma, facendo così luce sui meccanismi molecolari associati alla longevità di questa straordinaria specie.
La ricerca, pubblicata come preprint su BioRxiv, ha coinvolto istituzioni tedesche – il Fritz Lipmann Institute on Aging (FLI) di Jena e la Ruhr University di Bochum- danesi -l’Università di Copenhagen- e, per l’Italia, l’Istituto di biofisica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibf) e la Scuola Normale Superiore di Pisa, oltre ad altre istituzioni. Il team ritiene che tale studio sia un primo passo essenziale per comprendere come evolve la longevità in molti altri organismi: “Il nostro progetto sul genoma fornisce una base per molti studi indipendenti che ci aiuteranno a comprendere meglio l’evoluzione di questa straordinaria specie”, afferma Paolo Domenici del Cnr-Ibf di Pisa. “Questo è uno dei motivi per cui abbiamo deciso di rendere il genoma immediatamente disponibile alla comunità scientifica“, prosegue Alessandro Cellerino, neurobiologo presso il FLI e la Scuola Normale Superiore (SNS) di Pisa, che aggiunge: “Esplorare le basi genetiche dell’enorme diversità della durata della vita nelle varie specie offre una prospettiva completamente nuova per indagare i meccanismi che consentono una longevità eccezionale”.
Solo pochi animali complessi possono vivere più a lungo degli esseri umani: un esempio notevole sono le tartarughe giganti, come Jonathan, un esemplare di 191 anni attualmente residente a Sant’Elena. Tuttavia, questo record impallidisce rispetto allo squalo della Groenlandia.
Aggiunge Paolo Domenici (Cnr-Ibf): “Si tratta di una specie ancora piuttosto misteriosa, poiché vive in acque profonde. Per questo le uniche osservazioni del suo comportamento naturale che abbiamo sono da video effettuati in profondità, che mostrano quanto sia lento nei suoi movimenti, una caratteristica in linea con la sua longevità. Sappiamo anche che si ciba di foche, e non è ancora chiaro come un animale così lento le possa catturare: ecco un altro mistero che ancora avvolge la specie”. “Questo lavoro ci aiuterà a capire le basi delle caratteristiche fisiologiche estreme di questa specie”, ha, inoltre, commentato John Fleng Steffensen dell’Università di Copenhagen.
Il sequenziamento dell’intero genoma è stata un’operazione particolarmente complessa: con 6,5 miliardi di coppie di basi, infatti, il codice genetico dello squalo della Groenlandia è lungo il doppio di quello di un essere umano ed è il più grande tra le sequenze del genoma degli squali ad oggi conosciute. Inoltre, oltre il 70% di tale genoma comprende elementi ripetitivi e spesso autoreplicanti, detti anche “egoisti” perché non portano informazione e possono distruggere l’integrità di geni essenziali e ridurre la stabilità complessiva del genoma. Nel caso dello squalo della Groenlandia, tuttavia, l’elevato contenuto di ripetizioni non sembra limitare la sua durata di vita: al contrario, i ricercatori ritengono che l’espansione di tali elementi possa addirittura contribuire alla longevità di questa specie. Talvolta, infatti, nel processo di replicazione essi possono “sequestrare” di geni funzionalmente più rilevanti che vengono copiati anch’essi: un meccanismo che potrebbe spiegare l’evoluzione di questa specie in particolare. Sorprendentemente, molti geni duplicati sono coinvolti nella “riparazione” dei danni al DNA: in questo meccanismo potrebbe risiedere un’ulteriore chiave per spiegarne la longevità. In ciascuna delle nostre cellule, infatti, il DNA subisce “danni” migliaia di volte al giorno, e meccanismi molecolari specializzati lo riparano costantemente. Studi genomici comparativi hanno rivelato come le specie di mammiferi particolarmente longevi siano anche eccezionalmente efficienti nel riparare il loro DNA: secondo il team, pertanto, i risultati ottenuti indicano come la riparazione del DNA potrebbe rappresentare un meccanismo generale alla base dell’evoluzione della longevità.
E’ stata, inoltre, individuata un’alterazione specifica nella proteina p53, nota anche come “guardiana del genoma“, che agisce come uno snodo fondamentale che coordina la risposta ai danni al DNA negli esseri umani e in molte altre specie. “Questa proteina è mutata in circa la metà di tutti i tumori umani ed è il più importante soppressore tumorale che conosciamo. Pertanto, è un gene essenziale per la longevità“, afferma Steve Hoffmann, biologo computazionale del Fritz Lipmann Institute on Aging. “Tuttavia, sono necessari ulteriori studi per dimostrare in che misura i cambiamenti della sequenza aminoacidica osservati nei geni critici favoriscano la loro funzione protettiva contribuendo all’eccezionale longevità di questi affascinanti animali“.