ROMA – Era nata soprattutto per soddisfare le esigenze di un turismo in crescita, negli anni ha accompagnato lo sviluppo produttivo del territorio. L’autostrada A8 ‘dei laghi’ compie cento anni. Il 21 settembre del 1924 veniva inaugurato il tratto Milano-Varese: era la prima autostrada d’Italia, e fra le prime tre al mondo. Oggi, quasi la metà dell’industria varesina si concentra nei comuni lungo il suo percorso.
L’impatto di un’autostrada sul sistema produttivo può essere certificato già osservando i dati nazionali: il 60% degli addetti alla manifattura in Italia si trova entro 10 chilometri da un casello, e sulla rete autostradale passa il 30% del traffico merci.
Proporzioni simili si riflettono anche a livello locale. Dall’elaborazione di GEA – Green Economy Agency su dati Centro studi Confindustria Varese, quasi la metà delle aziende manifatturiere associate (il 45,3% della base associativa) si trova nei 20 comuni dall’autostrada, e da sole impiegano il 38,2% degli occupati dall’industria della provincia di Varese.
Fra i settori più rappresentati, tessile e abbigliamento, terziario avanzato, aziende siderurgiche e metallurgiche, il comparto della meccanica, gomma e plastica, imprese chimiche, farmaceutiche e conciarie. Ma anche aziende legate al settore infrastrutture e trasporti, e a quello della carta e dell’editoria. Oltre a food & beverage e industria del legno.
“Certamente l’autostrada ha portato a fenomeni di urbanizzazione e concentrazione delle persone nelle città, mentre per le aziende a un insediamento maggiore nei territori più vicini ai comuni serviti dei caselli autostradali. I benefici in termini di competitività e minori costi sono evidenti”, commenta Andrea Uselli, professore al dipartimento di Economia dell’università degli studi dell’Insubria. “Non a caso, circa l’80% degli occupati in aziende manifatturiere si trova a massimo 20 km da un’autostrada”, aggiunge.
Nel caso della provincia di Varese, poi, “l’importanza strategica è confermata anche dalla fitta rete logistica del Nord Ovest, che non riguarda solo il trasporto su gomma – continua Andrea Uselli – e comprende, per esempio, un grande aeroporto internazionale e importanti direttrici ferroviarie che proseguono verso la Svizzera”.
Valori simili all’industria, emergono anche considerando il totale dell’economia privata: il 54% delle unità locali dell’intera provincia di Varese (in totale 40mila), e il 51% degli addetti (144.529 occupati) è concentrata infatti nei comuni che ruotano intorno all’asse autostradale A8-A9. E anche considerando tutte le imprese corrispondenti ai codici ateco manifatturieri, il 48% delle unità locali della provincia e il 43% degli addetti sono concentrati nei comuni lungo l’Autolaghi.
L’intuizione di un’arteria stradale veloce venne, fra gli altri, all’ingegnere varesino Piero Puricelli, che dopo aver previsto il ruolo dell’autostrada nel sistema dei trasporti predispose all’inizio degli anni ‘20 il progetto convincendo il Touring Club Italiano e le autorità politiche lombarde.
“Dopo 100 anni possiamo dire che la visione di Piero Puricelli nel ruolo della mobilità è stata più che lungimirante – continua il professor Uselli – tantopiù che la tratta dell’Autolaghi è interessata anche dai grandi corridoi internazionali che dal Nord Europa portano al Mediterraneo e dalla direttrice Est-Ovest. Se aveva, in origine, una capienza di un migliaio di automobili, oggi gestisce un traffico di 170mila veicoli al giorno. con picchi fino a 200mila”. In un’Italia in cui viene immatricolata un’automobile ogni 1,46 abitanti (ce n’era una ogni 450 nell’anno nel 1924).
La sua costruzione diede lavoro a 4.000 operai, e avanzò in tempi record: il primo colpo di piccone lo diede Mussolini nel marzo dell’anno prima. Era lunga circa 85 km, e larga 14 metri. Lungo il percorso – per evitare corsi d’acqua, ferrovie e viabilità ordinaria – vennero costruiti 35 sovrappassi e 71 sottopassaggi.
E per mantenerla? “In prospettiva è auspicabile l’incentivazione di meccanismi di investimento pubblico-privato – conclude Andrea Uselli -, questo ridurrebbe gli oneri sul bilancio pubblico e stimolerebbe gli investimenti privati in una logica di diversificazione delle fonti di finanziamento e di migliori equilibri gestionali e finanziari”.